Il locandiero

di Giacomo Paolini. Regia di Cataldo Fambrini (2000)

Costretta dalle difficoltà economiche, una famiglia di contadini decide di tentare l’avventura dell’agriturismo, e per loro diventa giocoforza conciliare il vecchio mestiere con quello improvvisato di “locandieri”.

Gelosi del loro “nido” e della loro risevatezza, si vedono invadere la casa dai vacanzieri cittadini, così diversi per tradizione, usi e costumi, e questo produce situazioni imbarazzanti, ricche di comicità ed ironia. La spiccata varietà dei caratteri si estrinseca ora in chiave patetica ora grottesca ora buffa, conferendo al lavoro un colore e una vivacità che lo rende godibile dall’inizio alla fine; anche grazie al dialetto, contrapposto dai contadini all’ “italiano” degli agrituristi, che dà luogo a dialoghi pieni di mordente. Già, il dialetto… Se una volta la gente era condannata a parlarlo per ignoranza, oggi, per dirla con Umberto Eco, “il dialetto è una scelta e un arricchimento culturale, e deve rimanere come elemento di identità, con tutte le sfumature e le capacità espressive di cui la tradizione lo ha arricchito nel secoli.”

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La locandina

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